La linea Gustav era una barriera difensiva che da qualche mese divideva in due l’Italia collegando la foce del fiume Garigliano con Ortona, era caduta definitivamente a Cassino il 18 maggio del 1944.  Una settimana dopo le truppe alleate provenienti dal sud, l’VIII armata inglese e la V americana, si erano unite a quelle di stanza ad Anzio ed il 4 giugno anche Roma era stata liberata. Nella prima quindicina dello stesso mese gli alleati guidati dal maresciallo britannico Harold Alexander erano avanzati di oltre 140 Km schiacciando le truppe naziste verso la linea Gotica, l’ultimo baluardo fortificato. Dopo aver tentato invano di resistere, i tedeschi, al comando del feldmaresciallo Kesselring, comandante supremo dell’esercito tedesco in Italia, avevano ripiegato velocemente ritrovandosi nella zona del Valdarno Inferiore.

Carta della linea gotica (immagine Wikipedia)

Lo stato d’animo delle truppe naziste durante la ritirata in Italia era segnato da disperazione, confusione e paura. L’avanzata degli Alleati, le gravi perdite subite e la consapevolezza dell’imminente sconfitta alimentavano un crescente senso di smarrimento e terrore. La ritirata avveniva spesso in modo caotico, con ordini confusi e soldati stanchi e demoralizzati, costantemente preoccupati di evitare la cattura. Al contempo gruppi di partigiani lavoravano ai fianchi l’esercito tedesco facendo crescere la preoccupazione all’interno dell’alto comando.

Nei giorni che comprendono la data fatidica del 23 agosto gli angloamericani stavano aspettando il momento giusto per sferrare l’attacco alla linea Gotica e l’estremità più meridionale del Padule si trovava a soli cinque chilometri dalla linea del fronte sull’Arno.

Un fenomeno che è stato descritto successivamente in alcuni testi come “Sindrome del Partigiano” evidenzia come la paura e la paranoia sviluppate dalle truppe tedesche nei confronti dei civili italiani si siano amplificate durante la ritirata. Le tattiche di guerriglia utilizzate dai partigiani portarono i soldati tedeschi a percepire potenziali minacce in ogni civile, spingendoli a compiere rappresaglie brutali e sproporzionate contro intere comunità sospettate di collaborare con la Resistenza.

"All’epoca avevamo a che fare con gli effetti di una psicosi del partigiano, fomentata per un verso dagli inglesi e dagli americani e per l’altro dagli italiani stessi, per esempio con volantini e […] trasmissioni radiofoniche. Nei ranghi della truppa dilagavano voci incontrollate. Gli uomini erano convinti che alle nostre spalle ci fosse un esercito partigiano e si scambiavano cifre raccapriccianti. A poco a poco la truppa iniziò a convincersi di essere in trappola, come a Stalingrado"

È in questo momento che la strategia dell’esercito tedesco che passa da attacchi diretti alle formazioni partigiane o comunque mirati ad interrompere le comunicazioni al loro interno a “soluzioni totali” ovvero stragi e rappresaglie indiscriminate che si susseguono dalla provincia di Arezzo a quella di Firenze e che passano sopra le comuni regole di condotta della guerra.

“…la lotta contro le bande dovrà essere condotta con tutti i mezzi disponibili e con la maggiore asprezza. Difenderò qualsiasi comandante che nella scelta e nel rigore dei mezzi impiegati abbia oltrepassato la misura moderata da noi considerata normale…”

Le case vengono bruciate le famiglie cacciate, i nazisti sono affiancati dai repubblichini in queste azioni. I partigiani di notte perquisiscono le case dei repubblichini e raccolgono i soldi confiscati per inviarli ai contadini che hanno subito danni.

Scorcio del Padule con cippo (immagine gonews.it)

Si cominciano a delineare i luoghi e gli attori principali di questa tragedia: il 14 luglio il comando del feldmaresciallo Kesselring è appena partito dall‘albergo Grotta Giusti, allora base operativa sud-occidentale dell’esercito tedesco, seguito dal comando dei radio-telegrafisti che era stato installato nella Villa Poggi-Banchieri. Il colonnello Peter Crasemann, comandante di divisione della 26° Panzer, si stabilisce a Monsummano. Giungono anche il tenente colonnello Henning von Witzleben che alloggia a Villa Poggi-Banchieri. La Baronessa Giulia, proprietaria della villa, trova il modo di relazionarsi con von Witzleben, avendo in comune la passione per l’arte, nella speranza che suo marito, allontanato da casa per sicurezza, e il figlio, fatto passare per adolescente gravemente malato a discapito dell’evidente età reale, non vengano coinvolti. Il loro rapporto di “amicizia”, pochi giorni più tardi, salverà molte vite innocenti. Li raggiunge infine il maggiore Joseph Strauch.

Luglio è il mese in cui i tedeschi si spostano nella zona sempre il maggior numero prendendo possesso, sempre con l’aiuto dei fascisti locali, di chiese e ville soprattutto nella zona di Castelmartini.

"...Rubavano i prodotti agricoli, molti dei quali andavano loro stessi a raccoglierli nei campi. Si appropriavano di vino, uova, di polli, di anitre, di maiali e di bestie da lavoro, delle quali erano in continua ricerca, vuotando le stalle...Distruggevano i campi di saggina e di granturco, filari di vite e oliveti, boschi e prati, frutteti e vivai...Rubavano oggetti di vestiario e corredi da neonati che poi inviavano in Germania in pacchi ben confezionati con la dicitura 'Regali dell'Italia'...seminavano dovunque il terrore, la miseria e lo sconforto…"

Sono giorni di sporadiche azioni, una su tutte quella in cui due contadini ventenni vengono catturati a Cintolese mentre rientrano in Padule per passare la notte lontano dai rastrellamenti e vengono prima torturati ed infine impiccati ai lampioni della piazza principale di Montecatini con un cartello “questo è ciò che accade a chi spara sui tedeschi”.

Ed è proprio nei giorni in cui Firenze combatte per la libertà con oltre 250 partigiani caduti e gli alleati sono ormai prossimi alla provincia di Pistoia avviene una delle rappresaglie più crudeli che questo conflitto possa ricordare.

I contadini abitano “in gronda” e non nel centro del padule, le malattie sono in agguato ed è bene dormire all’asciutto dopo aver passato giornate intere tra zanzare ed acqua, saranno loro le vittime. Il 23 agosto in realtà gli sfollati che vivono al centro del padule non si accorgeranno della strage che sta avvenendo se non per qualche rumore di cannone in lontananza, d’altra parte i tedeschi non conoscendo bene quella zona interna temevano che, se si fossero addentrati nella palude, avrebbero potuto perdersi o addirittura essere sopraffatti dai partigiani.

Ed è vero che in Padule vi sono anche i partigiani guidati da Aristide Benedetti, ma sono pochi, si parla di circa 30 uomini, e disorganizzati e la loro attività principale è quella della raccolta delle armi e della ricerca di nuove adesioni nella Valdinievole. Il comandante è convinto che il Padule sia il luogo ideale da cui far partire le azioni di disturbo contro la Wehrmacht ma occorrono più uomini per cui organizza un raduno richiamando adesioni dalle formazioni delle vicinanze per dare vita alla brigata “Valdinievole”, un gruppo di valorosi che possa finalmente impensierire il nemico. La data del raduno è per 30 luglio ma vi sono numerose defezioni e il professor Benedetti decide coraggiosamente di partire comunque con il suo limitato gruppo che chiama “Silvano Fedi” in memoria di un amico ucciso il giorno prima. Cambia anche la strategia, si passa dalle azioni di disturbo ai fascisti a quelle dirette verso i nazisti. Si stabiliscono in capanne nella zona di Casin del Lillo. 

Uno dei motivi scatenanti della rappresaglia è sicuramente la sovrastima numerica di Kesselring che lui quantifica attorno alle 300 unità. Ma oramai è ossessionato e anche secondo quanto testimoniò successivamente al processo di Venezia oramai anche i rapporti parlavano di bambini che si muovevano di notte per rifornire le truppe partigiane quando in realtà portavano solo i viveri alle famiglie sfollate.

A Monsummano Terme, dal comando situato nell’Hotel Grotta Giusti, il colonnello Crasemann, su indicazione di Kesselring, ordina al maggiore Strauch di “distruggere case, ricoveri ed esseri umani esistenti nella zona” – Vernichten appunto – Strauch lo trasmette ai reparti della 26° Panzerdivision della Wehrmacht che circonda il Padule di Fucecchio, da Massarella di Fucecchio a Stabbia di Cerreto Guidi, a Castelmartini di Lanciano, a Cintolese di Monsummano, ad Anchione di Ponte. Nessuno nel processo di distribuzione della disposizione di Kessering, se la sente di mettere in discussione un comando che andava contro ogni regola di buona condotta anche in guerra. Come diranno dopo “sapevamo che era una cosa sbagliata e anche contro le regole, ma arrivava dai vertici e questo non lo rendeva tecnicamente contestabile. Si riscontrano diversi casi in cui i tedeschi evitarono di uccidere per quanto possibile, ma altri lo applicarono alla lettera spaventati dalle conseguenze della loro disobbedienza.

Il 23 agosto 1944 erano più o meno le 7 del mattino e in casa Silvestri Annunziata, come ogni giorno, si era messa a preparare la farinata per i bambini con le altre donne, suo figlio Antonio di 2 anni era con lei. Pochi minuti più tardi una pattuglia di soldati tedeschi fece irruzione all’interno dell’abitazione e spezzò impietosamente le loro vite.

“…Annunziata, morta all’istante, schiantandosi a terra era caduta sul figlio Antonio, ma il piccolo, che era rimasto in vita, ebbe la forza di divincolarsi dal corpo della madre e si alzò ripetendo come una cantilena le parole: “Mamma, bua… Mamma, bua…”. Un soldato allora comandò ad un commilitone di ucciderlo, e quest’ultimo puntò il fucile alla testa del bambino; poi, dopo un attimo di ripensamento, girò l’arma impugnandola per la canna e con il calcio sferrò un colpo violentissimo sul capo del piccino, frantumandogli il cranio in maniera efferata. Mamma parlò di questo episodio in un paio di occasioni ed entrambe le volte cadde in preda a delle fortissime crisi epilettiche, tanto che il babbo fu costretto a scuoterla e schiaffeggiarla per farla tornare in sé.”

Tra i molti episodi raccontati dai superstiti spicca il massacro avvenuto a Casa Simoni: nel casolare i nazisti supportati dai collaborazionisti locali sorpresero le vittime nelle loro abitazioni o nei campi dove lavoravano. Ventitré persone inclusi donne e bambini, vennero uccisi senza alcuna pietà.

“…Fra i morti si muove una vecchia cieca. È Carmela Arinci, novantatré anni. Non si rende esattamente conto di quello che sta succedendo. Chiama i familiari. Vuol sapere…Inciampa in un corpo. Sta per chinarsi, la mano tesa, quando un nazista le va accanto. Toglie la spoletta ad una bomba a mano, gliela infila in una tasca del grembiule, quindi rapido, si allontana. Ancora qualche secondo e la donna è straziata dall’esplosione…”

Quel giorno 174 civili, di cui 62 donne, molti bambini (25 vittime con meno di 14 anni) o anziani (26 vittime con più di 60 anni) vennero “annientati” in maniera crudele ed efferata nelle loro case o mentre cercavano di nascondersi nei fossi. Il più giovane aveva 5 mesi, mentre quella più anziana 93 anni.

Il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere ancora più grave se non fosse stato per l’intervento decisivo della baronessa Poggi Banchieri: informata del massacro in corso in cui erano coinvolti anche i suoi coloni, la donna si rivolse prontamente al comandante von Witzleben, che in quei frangenti concitati era ancora nella sua villa. La baronessa lo implorò di porre fine a quella carneficina. L’ufficiale, dopo aver disposto una rapida indagine condotta da un suo sottoposto, prese atto della strage di civili che stava avvenendo e diede effettivamente l’ordine di interrompere l’operazione intorno alle dodici, scongiurando ulteriori perdite.

La sera stessa sera i nazisti festeggiarono nei presidi a Ponte Buggianese e Larciano tra canti e balli, al grido di “Vittoria, partigiani tutti kaputt” e si spartirono il bottino recuperato dai corpi esanimi delle vittime.

Fucilazione nel Padule di Fucecchio, anonimo
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